Ciò che siamo non è altro da noi,
ma non siamo noi.
È tutto ciò che ci serve per realizzarlo
è sempre con noi.
*
Grazie a tutti i partecipanti, mai così numerosi e attenti.
Possa questa pratica essere di beneficio
a tutti gli esseri.
Ciò che siamo non è altro da noi,
ma non siamo noi.
È tutto ciò che ci serve per realizzarlo
è sempre con noi.
*
Grazie a tutti i partecipanti, mai così numerosi e attenti.
Possa questa pratica essere di beneficio
a tutti gli esseri.
A trent’anni corsi
sul terremoto dell’Irpinia
e piantai tende, scaricai morti
dai camion a Lioni.
Ora canuto siedo in zazen
e carico i morti e i vivi
sulle mie spalle.
L’essere umano non è causa passiva della Storia,
un burattino delle circostanze, una fragile casa
nelle tempeste.
Pur evanescente incrocio di correnti e infinite cause,
l’essere umano è una forma senziente
e ha voce alta nel destino.
Non di quello fisico, ché tutti dobbiamo
qui esalare l’ultimo respiro, e la malattia
mette il punto all’ultima parola.
L’essere umano ha la voce alta nel destino
di consapevolezza, chiarezza, compassione
(ah, l’amore …) e azione.
-Ma la guerra – direte – l’orrore, la predazione
del più debole … –
E questo non rende più evidente la voce
dell’essere umano nel destino?
Noi ci forgiamo l’inferno, non Dio, non il Fato.
Nessun destino iperuranico, solo la mente
e ciò che fa.
La mente ci salva, la mente ci perde.
Il soldato russo che si rifiuta di aggredire l’Ucraina
è causa attiva della Storia, come lo è il soldato
americano che obbedisce e vaporizza
vecchi, donne e bambini a Hiroshima
e Nagasaki.
E ambedue costruiscono un presente
ed un destino diversi.
A quale vogliamo contribuire?
Non vi basta l’età che avanza, la forza che declina, la malattia e la morte? Quale altra pena volete aggiungere? Nel ciclo eterno della nascita e della morte l’essere umano infila senza obbligo alcuno l’abbondanza per pochi e la fame per molti, le ferite dell’orgoglio, la brama, il denaro, il potere, il prestigio; l’aggressione, il sangue, l’obbedienza assurda agli ordini di guerra, il pianto dei figli e delle madri, lo stridor di denti dei padri. La madre dei dolori inutili è sempre incinta.
Un vasto incendio, a distanza, dei monti davanti all’eremo, ci ha reso ancora più consapevoli nel nostro ritiro. Era il Monte Cablone che bruciava e brucia ancora, cima Tombea lambita, la nostra Valvestino, Magasa e Cima Rest allertate. Lì il canadair e gli elicotteri, le squadre di spegnimento che ben conosciamo per aver più volte partecipato a operazioni simili, negli anni in cui il fisico reggeva. Qui menti e corpi in zazen che lavorano sui roghi che l’io innesca e alimenta. Qui il fuoco benevolo della stufa che riscalda l’eremo, là il fuoco selvaggio dei boschi che terrorizza gli animali, incenerisce gli alberi, cuoce le pietre, dissecca i ruscelli e con la sua corona ardente s’allarga divorando i fianchi dei monti, alzando colonne di fumo denso che impregna l’aria e offusca il cielo. Al nostro sorriso interiore fa da contrappunto l’immensa sofferenza che sale dalla terra. Invano vorremmo allungare le braccia per salvare tutti gli esseri. I nostri sforzi sono solo una goccia nel mare, ma senza questa goccia il mare non sarebbe lo stesso.
Il picchio ha lavorato tutto il giorno sul grande pioppo bianco dietro l’eremo: “… rat-tat-tat-tan … rat-tat-tat-tan …”, per preparare il nido alla prossima covata e una magnifica poiana , ora col possente battito di ali, ora con larghe planate, posandosi di albero in albero, ci ha accompagnato per un tratto di strada mentre uscivamo dai monti, scomparendo, infine, lanciandosi in picchiata nella valle sottostante.
C’è una vita dell’io
e una Vita dello Spirito.
La vita dell’io è la vita dell’onda battuta
dai venti, consumata dall’ansia, dai dolori, gioie
e desideri, alla perenne ricerca di un Approdo
del quale fa sempre parte, ma non sa vedere.
La Vita dello Spirito è la vita dell’Oceano
in tutte le sue onde che consumano
ansia, dolori, gioie e desideri
ma senza che mai essa
ne venga consumata.
*
Possa questa pratica essere di beneficio
a tutti gli esseri
Zazen è abbandono di ogni fare e non fare,
di ogni pretesa di condurre il tempo.
È semplicemente respirare
nelle molteplici, impermanenti forme
dell’Uno, del Reale.
Tra le quali la nostra.
Poi con questa universalità
ci si alza e si opera, anche alacremente,
ogni volta che la vita lo richieda.
E ogni giorno la vita lo richiede.
*
Possa questa pratica essere di beneficio
a tutti gli esseri e grazie ai compagni
che si sono seduti con noi.
Per molti anni mi sono occupato
delle pratica delle cose materiali.
Poi per molti anni mi sono occupato
delle cose della pratica spirituale.
Adesso so che la pratica delle cose materiali
e le cose della pratica spirituale
sono essenze legnose che getto
nel fuoco per scaldarmi d’inverno
e acque cristalline dove mi bagno
l’estate.
*
Possa questa pratica essere di beneficio
a tutti gli esseri e grazie ai compagni
che si sono seduti con noi.
Se c’è silenzio il silenzio è il maestro
se c’è rumore il maestro è il rumore
se c’è dolore, il dolore è il maestro
se c’è gioia, la maestra è la gioia.
Se sorge un pensiero, il sorgere
del pensiero è il maestro
intanto il respiro entra ed esce
(senza entrare e senza uscire, in verità)
senza voler insegnare nulla,
e questo è il suo insegnamento.
Gassho a chi vive e chi muore
Gassho a chi è nella sofferenza e nella gioia
Gassho a chi si perde dietro le fole della sua mente
Gassho a chi s’afferra al sostegno di sabbia dell’io
Gassho a chi ha visto il costruttore della prigione
Gassho a chi vive in coscienza e consapevolezza
Gassho a chi sorregge l’umanità e la terra
Gassho ai mondi e agli oceani
Gassho alle montagne, agli alberi e le erbe
Gassho agli esseri senzienti
Gassho a ogni forma, ogni respiro
dell’Universo.
Questa notte il prato illuminato
dalla luna
stamattina la sommessa pioggia
che tamburella la sua canzone.
Al tepore dell’eremo in fitta nebbia
sediamo in zazen, camminiamo
in kinhin.
E l’Universo è tutti noi
noi tutti l’universo.
*
A beneficio di tutti gli esseri
gassho