Uscendo dal ritiro Zen di Marzo

Non vi basta l’età che avanza, la forza che declina, la malattia e la morte? Quale altra pena volete aggiungere? Nel ciclo eterno della nascita e della morte l’essere umano infila senza obbligo alcuno l’abbondanza per pochi e la fame per molti, le ferite dell’orgoglio, la brama, il denaro, il potere, il prestigio; l’aggressione, il sangue, l’obbedienza assurda agli ordini di guerra, il pianto dei figli e delle madri, lo stridor di denti dei padri. La madre dei dolori inutili è sempre incinta.

Un vasto incendio, a distanza, dei monti davanti all’eremo, ci ha reso ancora più consapevoli nel nostro ritiro. Era il Monte Cablone che bruciava e brucia ancora, cima Tombea lambita, la nostra Valvestino, Magasa e Cima Rest allertate. Lì il canadair e gli elicotteri, le squadre di spegnimento che ben conosciamo per aver più volte partecipato a operazioni simili, negli anni in cui il fisico reggeva. Qui menti e corpi in zazen che lavorano sui roghi che l’io innesca e alimenta. Qui il fuoco benevolo della stufa che riscalda l’eremo, là il fuoco selvaggio dei boschi che terrorizza gli animali, incenerisce gli alberi, cuoce le pietre, dissecca i ruscelli e con la sua corona ardente s’allarga divorando i fianchi dei monti, alzando colonne di fumo denso che impregna l’aria e offusca il cielo. Al nostro sorriso interiore fa da contrappunto l’immensa sofferenza che sale dalla terra. Invano vorremmo allungare le braccia per salvare tutti gli esseri. I nostri sforzi sono solo una goccia nel mare, ma senza questa goccia il mare non sarebbe lo stesso.

Il picchio ha lavorato tutto il giorno sul grande pioppo bianco dietro l’eremo: “… rat-tat-tat-tan … rat-tat-tat-tan …”, per preparare il nido alla prossima covata e una magnifica poiana , ora col possente battito di ali, ora con larghe planate, posandosi di albero in albero, ci ha accompagnato per un tratto di strada mentre uscivamo dai monti, scomparendo, infine, lanciandosi in picchiata nella valle sottostante.

Meditazione di cenere e di fuoco

Sembra che l’essere umano
abbia continuamente bisogno

di creare forme, categorie, caselle
definizioni, confini, appartenenze

(quindi esclusioni)

delimitazioni, ordinamenti, distinzioni,
schemi, schematizzazioni
e ripartizioni,

concetti, caposaldi, chiavi (quindi serrature)
sezioni, spaccati, organizzazioni

parole, immagini, oggetti mentali
per tentare di sapere

chi è

e cercare
di conoscere il mondo.

Per cercare di ordinare a propria
misura l’immenso caos vitale

tentare di collocarsi
nel tempo e nello spazio

dove si sente gettato

e così cercare
di dominare la propria vita.

Non ne sarà prigioniero,
invece?

Non sarà prigioniero dei suoi tentativi,
delle sue forme mentali?

Non si sarà costruito un bozzolo
nel quale si dibatte

incapace d’uscirne?

Non potrà aiutarlo, forse
la capacità di guardare

la corrente impetuosa delle sensazioni
e delle attività della mente

trovarsi nel fiume dei pensieri

e lì, respirare?

La Realtà è una come l’oceano
e molteplice come le sue onde e le sue correnti

In unione con tutte le donne e gli uomini di buona volontà

A beneficio di tutti gli esseri ci sediamo.
A beneficio di tutti gli esseri ci rialziamo
.

Riceviamo

LA NONVIOLENZA DI MARINA

Marina Ovsyannikova, la giornalista che ha fatto irruzione nel TG della televisione russa di stato, ha compiuto un’azione nonviolenta. Ha dimostrato che con la forza della verità si può colpire il cuore dell’impero che ha scatenato la guerra. La sua coraggiosa testimonianza ha fatto il giro del mondo, e ha dato un formidabile sostegno concreto al movimento che chiede il “cessate il fuoco”. Il suo cartello “Fermate la guerra, non credete alla propaganda, vi dicono bugie” è un aiuto concreto, disarmato, non militare, alla gente ucraina che resiste.

Che il suo esempio serva da lezione ai giornalisti nostrani che dalla loro scrivania con sfondi librari si sono messi l’elmetto e fanno il tifo per le armi mentre sbeffeggiano i pacifisti.

La nonviolenza attiva è anche mettersi in gioco personalmente.

Mao Valpiana

presidente del Movimento Nonviolento

Informiamo

GUERRA UCRAINA: L’UNIONE BUDDHISTA ITALIANA STANZIA UN FONDO DI EMERGENZA DI UN MILIONE DI EURO


L’Unione Buddhista Italiana ha deciso di stanziare un fondo speciale di 1 milione di euro per sostenere il popolo ucraino in uno dei momenti più oscuri della storia europea recente. In questo modo, i buddhisti italiani desiderano sostenere uomini e donne ucraini in fuga dall’orrore della guerra, famiglie intere che hanno abbandonato la propria casa in cerca di un luogo sicuro dove stare.
Il fondo avrà una duplice destinazione: 200 mila euro, in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio e Medici Senza Frontiere, impiegate nei corridoi umanitari, interventi sanitari e acquisto di forniture di farmaci; 800 mila euro, invece, verranno indirizzati a micro-interventi messi in atto anche dai diversi centri buddhisti dislocati sul territorio italiano, in collaborazione con organizzazioni locali del terzo settore, a sostegno di profughi e nuclei familiari ucraini in difficoltà.
“Il popolo ucraino ha bisogno di tutto l’aiuto possibile in questo momento e l’Unione Buddhista Italiana fa la sua parte per sostenere i più fragili – afferma Filippo Scianna, presidente dell’U.B.I.– Il nostro contributo è solo una goccia in mezzo al mare rispetto all’enorme emergenza sanitaria e sociale nella quale è piombata l’Ucraina: la nostra scelta ha l’obiettivo di sostenere quelle realtà che sono al servizio dei più deboli, cercando di aiutare sia chi si trova ancora sul fronte della guerra sia chi è giunto nel nostro Paese alla ricerca di accoglienza e di protezione.”

La Storia è un’ottima maestra (riletture)

“La Storia è un’ottima maestra,
ma l’essere umano è un pessimo studente.”

(Antonio Gramsci)

E perché è un pessimo studente?

Cosa condanna l’essere umano
a ripetere gli stessi comportamenti,
gli stessi errori?

Senz’altro l’ignoranza della Storia
o la presunzione ogni volta

di essere diversi,
di aver capito la lezione:

noi no, noi sappiamo, noi
non siamo così…”

Ed ecco il pianto e lo stridore
di denti che sale dalla Terra

ancora, dopo cinquemila
anni di storia.

Le rivoluzioni falliscono quando
i rivoluzionari, sotto lo scudo
della buona o presunta causa,

hanno gli stessi processi
mentali degli “odiati nemici”:

Primo: noi siamo i depositari del sacrosanto
e il male sta fuori di noi.

Secondo: chi non ci segue è un nemico
da abbattere o un traditore da additare,

in subordine un sospetto da sorvegliare,
un estraneo da convincere, ignorare
o sbeffeggiare.

Terzo: il fine giustifica i mezzi.

I processi riformatori s’infrangono
sui meccanismi mentali utilitaristici,

di calcolo, interesse e tornaconto
che li sovrasta.

Ai grandi rifondatori di liberazione
che riprendono il filo del vero

e della storia segue
il decadimento di piccole menti,
piccoli cuori

limitati nell’area di coscienza
e consapevolezza.

L’essere umano ripete gli stessi
errori, perché lo stesso rimane

il meccanismo mentale
che lo domina.

Qualcuno, di grande, l’ha
vissuto e l’ha detto:

Non si mette vino nuovo
in otri vecchi”.

Qualcuno, non meno grande,
l’ha fatto:

Ti ho visto, costruttore
di prigioni, e ora spezzata
è la tua trave di colmo”.

E cos’è l’otre vecchio, questo meccanismo mentale,
chi è questo costruttore di prigioni?

È la frattura percettiva che divide
illusoriamente la realtà in due:

una parte che si autodefinisce “io”
e definisce l’altra come “non-io”
quindi esterna a sé.

Con tutto il carico di solitudine, estraneità, conflitti
senso di minaccia, predazione, subordinazione
confini, bisogno di sicurezza, alleanze
di rinforzo, ansia, angoscia

nei confronti del presunto altro da sé
che questo comporta.

Appena mediato da quei ponti
che sentono e intuiscono l’originaria
unità ed interessenza

che sono il senso della bellezza, la gioia,
la commozione, l’amore e l’amicizia.

Mancando del tutto, nella generalità
degli esseri umani, ma non nella
mente che si risveglia al vero

(e ogni essere umano si può risvegliare)

l’esperienza percettiva ed esistenziale
del Reale come Uno, in tutte le sue forme,
l’io compreso.

Per cui ogni cosa fatta a un altro,
positiva, negativa o neutra che sia

è comunque una cosa fatta a sé.