Natale 2021: “Ode alla Pace”

A gentile richiesta postiamo l’ultima parte della poesia di Pablo Neruda: “Ode alla Pace”, la cui citazione è presente nel nostro post precedente, dedicato al Cile. Testo originale alternato, traduzione nostra.

Yo aquí me despido, vuelvo
Io a questo punto vi saluto, torno
a mi casa, en mis sueños,
alla mia casa, ai miei sogni
vuelvo a la Patagonia en donde
torno in Patagonia, là dove
el viento golpea los establos
il vento scuote le stalle
y salpica hielo el Océano.
e spruzza ghiaccio l’Oceano.
Soy nada más que un poeta: os amo a todos,
Sono solo un poeta e vi amo tutti,
ando errante por el mundo que amo:
vado errante per il mondo che amo,
en mi patria encarcelan mineros
nella mia patria incarcerano i minatori
y los soldados mandan a los jueces.
e i soldati comandano sui giudici.
Pero yo amo hasta las raíces
Però io amo perfino le radici
de mi pequeño país frío.
del mio piccolo Paese freddo.
Si tuviera que morir mil veces
Se dovessi morire mille volte
allí quiero morir:

qui voglio morire
si tuviera que nacer mil veces
se dovessi nascere mille volte
allí quiero nacer,
qui voglio nascere,
cerca de la araucaria salvaje,
accanto all’araucaria selvaggia
del vendaval del viento sur,
nella tempesta del vento del sud
de las campanas recién compradas.
presso le campane comprate di recente.
Que nadie piense en mí.
Nessuno pensi a me
Pensemos en toda la tierra,
Pensiamo insieme a tutta la Terra
golpeando con amor en la mesa.
battendo con amore sulla mensa.
No quiero que vuelva la sangre

Non voglio che il sangue torni
a empapar el pan, los frijoles,
a bagnare il pane, i fagioli,
la música: quiero que venga
la musica: voglio che venga
conmigo el minero, la niña,
con me il minatore, la ragazza,
el abogado, el marinero,
l’avvocato, il marinaio,
el fabricante de muñecas,
il fabbricante di bambole,
que entremos al cine y salgamos
che andiamo al cinema e usciamo
a beber el vino más rojo.
a bere il vino più rosso.

Yo no vengo a resolver nada.
Io non vengo a risolvere nulla.

Yo vine aquí para cantar
Io sono venuto qui per cantare
y para que cantes conmigo.
e perché tu canti con me.

Racconto di Natale

L’albero misterioso

C’era una volta, e forse c’ė ancora, in Valvestino, in un bosco nascosto, un albero che viveva tranquillo. Intorno cresceva un labirinto di cespugli, rovi e torrenti. L’albero che cresceva tranquillo non era molto grande, perché lo spazio era poco e il freddo era tanto e se fosse cresciuto di più si sarebbe gelato di più.

Non aveva, però, mai avuto paura, perché all’inizio della valle c’era un cartello che vietava il taglio di alberi come lui. Le guardie giravano su e giù per la valle. Si fermavano nei punti più panoramici e coi binocoli scrutavano nei boschi. Nessuno aveva mai osato disobbedire a quel divieto fino a quel giorno, anche perché pochissimi, ormai, credevano che esistessero ancora alberi simili.

I pochi che ci credevano, poi, non si sarebbero dati la pena di perdere ore e ore a cercare nei boschi. E inoltre, chi ci credeva? Solo vecchi e bambini. Solo loro credono ancora alle fiabe. I vecchi non avevano più bisogno di andare a vedere per sapere che l’albero c’era, e i bambini erano troppo piccoli.

Un giorno, però, poco prima di Natale, un cittadino di Brescia – o di un’altra città – mentre girava i boschi alla ricerca di erbe rare, qua e là nascoste nella neve, s’imbatté nell’albero proibito.

“Che splendore!” esclamò il cittadino.

L’albero luccicava coperto di brina e di neve, sotto un raggio di sole. Sembrava magico. Il cittadino non osava toccarlo, all’inizio. Poi cominciò a pensare che nella sua vetrina, al centro della città, avrebbe fatto un figurone e che tutti sarebbero venuti a comprare da lui per vederlo.

Provò il desiderio di portarselo via, ma non aveva strumenti per tagliarlo o sradicarlo. Allora, come prova di averlo trovato, strappò un rametto, segnò il posto e se ne andò lasciando dei segnali nascosti lungo la strada.

Appena fuori dal bosco una guardia lo avvistò e gli vide in mano il rametto. Subito lo fermò, lo rimproverò aspramente e gli ordinò di non tornare più. Anche la guardia era stupita, perché non aveva mai visto l’albero con i suoi occhi, e aveva riconosciuto il rametto solo dalle descrizioni dei vecchi all’osteria. Provò a cercare l’albero, ma non riuscì a trovarlo. Pensò di essere stato troppo severo con il cittadino: magari il rametto non era proprio di quell’albero, forse si era confuso.

Il cittadino, intanto, con il rametto stretto in mano, era tornato a casa, ma solo per prepararsi a tornare. Era ormai la vigilia di Natale e in tutta la città splendevano le luci. Gli animi delle persone erano in festa. Le vetrine scintillavano degli oggetti più belli. Solo nella vetrina del cittadino, al centro, mancava qualcosa: l’albero di Natale che quel pomeriggio sarebbe andato a prendere.

Il buio incombeva quando il cittadino, lasciata la jeep in un angolo nascosto della strada, si dirigeva furtivamente verso il luogo dove cresceva l’albero. Teneva in mano un’ascia, nell’altra mano teneva una potente pila e sulle spalle uno zaino con corde e altro materiale.

Dopo una faticosa camminata, arrivò sul posto: l’albero, coperto di neve e seminascosto da alti cespugli, luccicava anche nel buio sotto la luce della luna piena.

Il cittadino aveva fretta, perché anche lui doveva festeggiare la notte di Natale in famiglia. Fece per avvicinarsi, ma d’improvviso sprofondò nella neve fino alla cintola. Irritato, riuscì a tirarsi su e fece ancora per avvicinarsi, ma l’ascia si era persa nella neve e dovette cercarla. Finalmente, e sempre più frettoloso, la trovò e arrivato di fronte all’albero era pronto a tagliarlo.

Alzò l’ascia per vibrare il colpo, ma questa s’impigliò tra i rami bassi di un vicino albero. Incredulo per tutti questi imprevisti, e ormai furioso il cittadino liberò l’ascia dai rami e riprovò a colpire l’albero. Nella furia, però, di tagliarlo di netto e il più in basso possibile, la lama si spuntò contro un sasso nascosto sotto la neve. Il cittadino, fuori di sé, menò un altro colpo, ma ecco che da un ramo scosso dal vento serale, cadde della neve che gli coprì la visuale. Il colpo andò a vuoto.

La sera era ormai avanzata e in cielo brillava il Carro dell’Orsa.
Faceva molto freddo, gli alberi sembravano rabbrividire e avvolgersi nei loro rami. Nel silenzio si sentiva solo il gorgogliare dell’acqua e il fruscio degli animali notturni. A volte il silenzio era rotto dal tonfo della neve che cadeva dai rami e dai versi striduli degli animali predati.

Il cittadino prese la mira e stavolta affondò il colpo. Ma il ramo più grande dell’albero si piegò di scatto e deviò l’ascia. Turbato e meravigliato, l’assalitore girò sul lato dove il ramo non poteva arrivare e riprovò a compiere la sua impresa. Stavolta una forza misteriosa gli paralizzò il braccio e un profumo soave lo stordì.

“Perché mi colpisci?” Nella notte magica l’albero parlava e gli raccontava il suo mistero.

“Io sono lo spirito di questa valle, e finché vivrò vivrà anche questa terra. Non importa la neve che mi grava, non importa il vento gelido, non importano tutti i tentativi di chi mi vuol portare via, finché resterò su questo suolo, finché resisterò nella mente degli anziani e nella fantasia dei bambini, ci sarà vita su questi monti.”

Solo il silenzio era rimasto dopo queste parole. L’albero scintillava sotto le stelle, nella notte di Natale. Anche se nessuno poteva vederla, da lì partiva una corrente di energia che si irraggiava in tutta la valle.

Il cittadino si svegliò nella sua poltrona preferita del salotto. Intorno a lui vide i volti sorridenti della sua famiglia:

“Vieni, è tutto pronto, ormai” gli dissero. Corse a vedere con una certa apprensione la sua vetrina e la trovò illuminata da una splendida cometa che irradiava la sua luce fin sul marciapiede lì di fuori.

Sul presepio di casa c’era una scritta che diceva: “PACE IN TERRA ALLE DONNE E AGLI UOMINI DI BUONA VOLONTÀ”.

(con le classi IV e V – Scuola Elementare della Valvestino – 1991)