Un cavallino, quello dei soliti vicini, gli stessi delle capre fameliche per intenderci, è venuto a farci visita e si è dedicato con molta attenzione ai fiori che Anna cura con un’attenzione ancora più grande. Tuttavia, dato che le mancanze degli uomini non ricadono sui cavalli, o almeno non dovrebbero, e poiché ci veniva a cercare con lo sguardo e con il muso, lo abbiamo accolto carezzandolo e correndo con lui nel prato, prima di indirizzarlo sulla via di casa. Mai visto un cavallino sgroppare così felice e libero. Avanti e indietro, su e giù, per lungo e per traverso, scuotendo la criniera e scalciando all’aria, per poi fermarsi a tratti e girarsi verso di noi con aria interrogativa: “…e mo’ dove siete rimasti?!”
Il ritiro di pratica meditativa di fine aprile si è svolto tra i vapori fumiganti delle nuvole che attraversavano il passo radenti il suolo e improvvisi squarci di sereno e vampate di sole. Proprio il sole ha benedetto il primo giorno di ritiro, mentre una pioggia gelida ha benedetto a tratti il secondo. Dice infatti il poeta: “se il freddo intenso non penetra nelle ossa, come possono essere fragranti i fiori di susino?” E come possono brillare come gioielli le braci nella stufa, dalla soglia di casa?
Sedersi in meditazione quando le luci delle città, laggiù nella pianura, ebbre vanno a dormire e rialzarsi nell’alba del mondo, quale notte bianca dello spirito ha da essere in ogni convento, monastero e luogo di pratica disseminato sulla terra!
Ogni attimo è
sia inizio che fine
non porta ad un altro attimo.
Ogni zazen è il primo e l’ultimo,
non porta a un altro zazen.
E per quanto possiamo sforzarci
non siamo noi a fare la pratica
ma la pratica a fare noi.
Davanti a ragazzi attenti e partecipi di un istituto superiore della nostra provincia, abbiamo tenuto un incontro sul dialogo policulturale e interreligioso, seguito da un testimonianza sull’obiezione di coscienza all’uso delle armi e sul servizio civile. Che gran cosa tornare a percorrere i corridoi scolastici affollati da giovani che potrebbero essere i figli e forse anche i nipoti dei nostri alunni di un tempo.
Sono ripresi i lavori per finire il ‘muretto a scendere’ che sostiene il vialetto d’entrata all’eremo. I problemi della progettazione sono stati superati, sia pure da modesto costruttore dilettante quale sono. Una mattina ho aperto gli occhi senza più il groviglio della sera e tutto era diventato chiaro, vedevo nella mente le soluzioni.
La poca acqua rimasta nei serbatoi di casa se n’era andata per l’uso e per un guasto alla conduttura – prontamente riparato – ma le piogge anelate dai boschi e dalla terra sono arrivate copiose sui tetti e sui pascoli, sulle cime e sui pendii, sulle fronde e tra i rami. Sono penetrate nel suolo, hanno rabboccato le falde, alimentato le sorgenti, riempito le cisterne, ammorbidito i tratturi, calmato gli sterrati polverosi. E alzando gli occhi vediamo neve abbondante in quota.
Ora i torrenti rumoreggiano nelle gole, le acque serpeggiano nei fondovalle con un gorgogliare uniforme e incessante fino ai fiumi, ai laghi e ancora ai fiumi e alla grande pianura che si stende ai nostri piedi e che ora beve finalmente. L’umidità al suolo ha ravvivato erba e fiori. Gocce di pioggia e rugiada mattutina ingannano gli occhi sulla polmonaria, mischiandosi con le macchie tonde e chiare proprie delle foglie, così che uno non sa più quali sono le gocce e quali le macchie, a meno che vada a scuotere le foglie, vistose ed eleganti. Un brulicare di forme e di essenze danno vita al prato che da raso è ora gonfio di steli come un intricato universo di vuoto e di pieni.
Molte piante spontanee hanno anticipato l’orto. Dopo la cicoria è ora l’asparago di montagna, fresco e amarognolo, le salvie buone da impanare, la comune piantaggine, il primo iperico, la piccola carota selvatica dal gusto intenso e inaspettato. Decine e decine di erbe che ci terranno compagnia fino allo sfalcio d’esordio in maggio, per poi ricrescere dopo ogni taglio lungo tutto il resto della primavera e per l’intera estate, quando i prodotti dell’orto ci consentiranno di contemplarle e lasciarle in pace.
Nell’alba pallida
scuro e chiaro un buddha
lucente luna