La Storia è un’ottima maestra (riletture)

“La Storia è un’ottima maestra,
ma l’essere umano è un pessimo studente.”

(Antonio Gramsci)

E perché è un pessimo studente?

Cosa condanna l’essere umano
a ripetere gli stessi comportamenti,
gli stessi errori?

Senz’altro l’ignoranza della Storia
o la presunzione ogni volta

di essere diversi,
di aver capito la lezione:

noi no, noi sappiamo, noi
non siamo così…”

Ed ecco il pianto e lo stridore
di denti che sale dalla Terra

ancora, dopo cinquemila
anni di storia.

Le rivoluzioni falliscono quando
i rivoluzionari, sotto lo scudo
della buona o presunta causa,

hanno gli stessi processi
mentali degli “odiati nemici”:

Primo: noi siamo i depositari del sacrosanto
e il male sta fuori di noi.

Secondo: chi non ci segue è un nemico
da abbattere o un traditore da additare,

in subordine un sospetto da sorvegliare,
un estraneo da convincere, ignorare
o sbeffeggiare.

Terzo: il fine giustifica i mezzi.

I processi riformatori s’infrangono
sui meccanismi mentali utilitaristici,

di calcolo, interesse e tornaconto
che li sovrasta.

Ai grandi rifondatori di liberazione
che riprendono il filo del vero

e della storia segue
il decadimento di piccole menti,
piccoli cuori

limitati nell’area di coscienza
e consapevolezza.

L’essere umano ripete gli stessi
errori, perché lo stesso rimane

il meccanismo mentale
che lo domina.

Qualcuno, di grande, l’ha
vissuto e l’ha detto:

Non si mette vino nuovo
in otri vecchi”.

Qualcuno, non meno grande,
l’ha fatto:

Ti ho visto, costruttore
di prigioni, e ora spezzata
è la tua trave di colmo”.

E cos’è l’otre vecchio, questo meccanismo mentale,
chi è questo costruttore di prigioni?

È la frattura percettiva che divide
illusoriamente la realtà in due:

una parte che si autodefinisce “io”
e definisce l’altra come “non-io”
quindi esterna a sé.

Con tutto il carico di solitudine, estraneità, conflitti
senso di minaccia, predazione, subordinazione
confini, bisogno di sicurezza, alleanze
di rinforzo, ansia, angoscia

nei confronti del presunto altro da sé
che questo comporta.

Appena mediato da quei ponti
che sentono e intuiscono l’originaria
unità ed interessenza

che sono il senso della bellezza, la gioia,
la commozione, l’amore e l’amicizia.

Mancando del tutto, nella generalità
degli esseri umani, ma non nella
mente che si risveglia al vero

(e ogni essere umano si può risvegliare)

l’esperienza percettiva ed esistenziale
del Reale come Uno, in tutte le sue forme,
l’io compreso.

Per cui ogni cosa fatta a un altro,
positiva, negativa o neutra che sia

è comunque una cosa fatta a sé.

La Storia è un’ottima maestra

“La Storia è un’ottima maestra,
ma l’essere umano è un pessimo studente.”

(Antonio Gramsci)

E perché è un pessimo studente?

Cosa condanna l’essere umano
a ripetere gli stessi comportamenti,
gli stessi errori?

Senz’altro l’ignoranza della Storia
o la presunzione ogni volta

di essere diversi,
di aver capito la lezione:

noi no, noi sappiamo, noi
non siamo così…”

Ed ecco il pianto e lo stridore
di denti che sale dalla Terra

ancora, dopo cinquemila
anni di storia.

Le rivoluzioni falliscono quando
i rivoluzionari, sotto lo scudo
della buona o presunta causa,

hanno gli stessi processi
mentali degli “odiati nemici”:

Primo: noi siamo i depositari del sacrosanto
e il male sta fuori di noi.

Secondo: chi non ci segue è un nemico
da abbattere o un traditore da additare,

in subordine un sospetto da sorvegliare,
un estraneo da convincere, ignorare
o sbeffeggiare.

Terzo: il fine giustifica i mezzi.

I processi riformatori s’infrangono
sui meccanismi mentali utilitaristici,

di calcolo, interesse e tornaconto
che li sovrasta.

Ai grandi rifondatori di liberazione
che riprendono il filo del vero

e della storia segue
il decadimento di piccole menti,
piccoli cuori

limitati nell’area di coscienza
e consapevolezza.

L’essere umano ripete gli stessi
errori, perché lo stesso rimane

il meccanismo mentale
che lo domina.

Qualcuno, di grande, l’ha
vissuto e l’ha detto:

Non si mette vino nuovo
in otri vecchi”.

Qualcuno, non meno grande,
l’ha fatto:

Ti ho visto, costruttore
di prigioni, e ora spezzata
è la tua trave di colmo”.

E cos’è l’otre vecchio, questo meccanismo mentale,
chi è questo costruttore di prigioni?

È la frattura percettiva che divide
illusoriamente la realtà in due:

una parte che si autodefinisce “io”
e definisce l’altra come “non-io”
quindi esterna a sé.

Con tutto il carico di solitudine, estraneità, conflitti
senso di minaccia, predazione, subordinazione
confini, bisogno di sicurezza, alleanze
di rinforzo, ansia, angoscia

nei confronti del presunto altro da sé
che questo comporta.

Appena mediato da quei ponti
che sentono e intuiscono l’originaria
unità ed interessenza

che sono il senso della bellezza, la gioia,
la commozione, l’amore e l’amicizia.

Mancando del tutto, nella generalità
degli esseri umani, ma non nella
mente che si risveglia al vero

(e ogni essere umano si può risvegliare)

l’esperienza percettiva ed esistenziale
del Reale come Uno, in tutte le sue forme,
l’io compreso.

Per cui ogni cosa fatta a un altro,
positiva, negativa o neutra che sia

è comunque una cosa fatta a sé.

6-9 agosto 1945 – riletture e riflessioni: il passato che non passa

L’errore è di considerare il nazifascismo
come un accidente della Storia, un’isola,
una parentesi chiusa

e non un portato di “qualcosa” che
da sempre alligna nella mente umana,
impregna il nostro vivere quotidiano

e che quando trova le condizioni si acuisce
torna ad affacciarsi nella Storia, con tutto
il suo carico distruttivo.

Questo qualcosa è il blocco psichico
che domina l’essere umano, la percezione
di un sé separato che determina
una percezione di divisione tra sé e il mondo.

Con il sé che si mette al centro e tutto il resto
in periferia, a un piano di valore inferiore
e subordinato al proprio tornaconto.

Tale percezione genera per un verso il desiderio di possedere
ciò che è già intimamente nostro, ma percepiamo
separato da noi, e ha così fascino se
sentiamo che ci dà piacere,
vita, potenza

(anche morte, nella disperata ricerca di riottenere
“questo intimamente nostro”, ma che non sappiamo
contattare, vivere, ritrovare.)

e dall’altro di annichilire la minaccia che questa realtà, percepita
come separata da noi, ma che ha una così grande
influenza su di noi, continuamente ci dà

per il solo fatto di essere vista come “altro”, vita “altra”
che potrebbe sommergere la nostra.

Non a caso la grande quota d’indifferenza
copre tutti gli aspetti della realtà che non ci danno
piacere-potenza o senso di minaccia.

Ne consegue una brama di possesso
che è nel contempo una necessità di controllo
della minaccia, per tacitare l’intima angoscia.

Questo universo di azioni e reazioni fobiche
che si rinforzano l’un l’altra raggiunge punti
di crisi e di esplosività di cui sono poi
piene le pagine dei libri di Storia.

È evidente allora che non esistono soluzioni stabili
a valle di questo blocco psichico, essendo
proprio tale blocco psichico il problema.

Non si spegne un incendio con la benzina
e con l’azione dell’incendiario.

Serve, quindi, la prima autoconsapevolezza
della presenza di questo blocco
e di esserne l’espressione
in ogni gesto, in ogni

pensiero e sensazione.

Serve, poi, lavorare su tale blocco, superare
la percezione separata delle cose,

la percezione separata di un sé, la percezione
individuale e arroccata dell’esistenza.

Necessariamente partendo da sé e offrendo
a tutti la possibilità.

Ma più che raggiungere qualcosa

il risveglio è vivere la nostra Realtà
eternamente manifesta
qui e ora.

Lo slancio d’amore è un suo precursore
L’amore ritrovato ne è la sua espressione.

Naturale è che lungo questo percorso
ogni atto contro l’umanità

non può attendere il superamento
del blocco psichico, per essere affrontato.

Il voto responsabile, l’attività sociale e politica
il volontariato, l’azione contro le disuguaglianze,
le violenze e le ingiustizie saranno allora

l’aspetto visibile, l’anima sociale, il riflesso
esterno del lavoro su di sé

che nel nostro caso si chiama zazen,

ma che ognuno può fare con gli “strumenti”
o con le “vie”, laici o religiosi, che gli
sono propri.

Trovo impossibile, in particolare,
che un movimento politico di reale cambiamento
non si occupi pubblicamente

e non solo nel recinto del privato,

come parte integrante della propria azione,
di quell’azione così concreta

che è il lavoro su di sé,
caposaldo e scaturigine di ogni azione
sociale e politica.