Per l’io tutto lo spazio-tempo che intercorre
tra un punto di partenza e quello d’arrivo
è sofferenza, lungaggine, tempo
morto da rimuovere.
Il suo sogno è lo schiocco di dita, il teletrasporto,
la scomposizione nel luogo di partenza e la rimaterializzazione
istantanea in quello d’arrivo.
Così per l’io è tempo perso tutto ciò
che partendo da un punto del tempo-spazio
non porti ad un altro che presenti
realizzazioni tangibili.
Meccanismo utilitario insuperabile, l’io annaspa
dove non vede scopi, risultati, mezzi e fini.
Ma ciò che è perdita di tempo per l’io,
per l’autocoscienza della mente è
lucida consapevolezza dell’essere:
dove il punto di partenza appartiene
alla medesima realtà del punto d’arrivo
(e di ogni “punto” dell’universo)
e lo spazio-tempo che intercorre
tra i due coincide in ogni istante, in ogni punto,
col punto di partenza e col punto d’arrivo.
Per l’autocoscienza della mente ogni viaggio
è un viaggio immobile, e il risultato è ogni passo.
Questa coscienza “dimora nel movimento stesso”
ed è sempre “a casa pur essendo sulla strada”.
È con questa coscienza che le funzionalità dell’io,
la sua efficienza, la ricerca di tangibili risultati
non si trasformano in alienazione,
in un massacro narcisistico quotidiano
“pieno di rumore e di furia, senza
significato alcuno”.