La terra ha sete. Le grandi piogge di marzo che ogni anno ci riempivano i serbatoi di casa per un intero anno, e quelli dell’orto per le prime seminagioni, sono state avare di sé. Qualcosa è venuto, ma ne servono altre. Le sorgenti dei dintorni sono un esile rivolo e gli animali selvatici devono allungare i loro percorsi per trovare una pozza d’acqua, rimasugli di torrente e gocciolatoi. Più a valle sono in secca i fiumi e la grande pianura. Il lago della Valvestino lascia affiorare dal fondo le vecchie mura sepolte dall’invaso artificiale e anche le vaste acque del Garda, profonde assai, sono arretrate e lasciano scoperti tratti di riva.
Le prima erba selvatica della stagione che abbonda nei paraggi è la “cicoria” tarassaco. Mentre sbuffo con la carriola di terra su e giù dal bosco all’orto, Anna, con la pazienza meditativa trasmessa dalle nostre nonne patriarche, ne raccoglie i cespi, ancora piccoli in questo mese e a quest’altezza, vagabondando di terreno in terreno. Segue la mondatura, dove la pratica tocca il suo acme: foglia per foglia, radice dopo radice. Poi il lavaggio. Infine la cottura. Quando la cicoria arriva sulla tavola è diventata un piatto salutare e prelibato. Pure l’acqua di cottura che è di suo un toccasana depurativo e diuretico, non viene buttata. Quest’erba pressata per estrarre l’ultima acqua e poi sgranata nel piatto, condita con un po’ di olio extravergine dei declivi gardesani più a lago si lascia raccogliere dal piatto per mezzo di pezzetti di pane e portare alla bocca in totale presenza mentale. Con la stessa consapevole grazia si lascia masticare e deglutire, sentendone la consistenza morbida, la sapidità dolce, ma con una punta di amaro. Fra poche ore ne sentiremo, con la stessa consapevolezza, il rumore della deiezione cadere nel WC. E da lì, biologicamente riciclata, questa erba sarà di nuovo alla terra che l’ha prodotta.
La seconda “erba” è l’asparago selvatico, che ora spunta appena ai margini del bosco, e dalla soglia di casa osserviamo crescere. Se ne riparla ad aprile.
La pratica intensiva zazen-koan di fine mese è ritornata all’eremo, dopo l’emigrazione invernale a casa nostra, nella cittadina alle porte di Brescia. Insieme a qualche presenza in più con la quale condividere l’esperienza.
Nell’orto il pruno è in pieno fiore. E anche i ciliegi selvatici, rustici testimoni della semplicità dell’eremo, stanno per esplodere in un’infiorata che nemmeno Salomone…
Che cos’è un attimo?
per il clacson dietro me
schiuma di rabbia
Sulla piazzetta
una grande dolcezza
sera sul lago