Rinnoviamo anche per questo lunedì l’invito a praticare zazen (meditazione seduta) e kinhin (meditazione camminata), ore 20-21. Se qualcuno non sa come fare, in attesa di vederci in qualche ritiro alla “Lovera” sul Garda, nella nostra sala di meditazione a Brescia o a Rezzato, riportiamo l’interessato alla pagina SEGNAVIA di questo blog (oppure a questa pagina Home in data 5 marzo 2020, come pure il 7 novembre 2020), dove potrà trovare le indicazioni per sedersi in pratica). Ricordiamo anche i videocollegamenti con il Monastero Zen di Sanboji, coi quali potete partecipare e verificare postura, modalità e spirito della pratica. Rammentiamo, infine, che con la pagina CONTATTI di questo blog siamo a vostra disposizione per ogni esigenza di pratica.
Gassho a ogni essere e un amorevole sostegno ai sofferenti
4 – fine
Considerare un disturbo il semplice
borborigmo della stufa è comico:
non ci sono disturbi in zazen.
Non è un disturbo il senso di fastidio
per il sonoro swiiishhh… dell’auto nella pioggia
giù nella strada
come pure il frastuono di una serranda,
la dolenzia al ginocchio,
così non è molesto un pensiero,
l’irritante sensazione del tempo
che non passa.
È una vera eresia preferire questo
o quello in zazen: ma cos’è questo io
che vuol essere misura di tutto?
E non ha senso cercare il senso
che non sia già qui, non riconoscere
proprio ora di essere a casa.
Ma se l’irritazione, il fastidio, la sensazione
di perdere tempo e il preferire
fossero una malattia in zazen
malattia più grande sarebbe cercare di sbarazzarsene,
iniziando il circolo vizioso di un fastidio
nascente che vuol cacciare
quello precedente.
(A meno che superi la soglia della tollerabilità,
ma stiamo parlando solo di venti, trenta minuti, a volte
quaranta, ogni volta di meditazione seduta, non
di una traversata del deserto, benché certo
si tratta dell’incommensurabile essere…)
Respirarli, guardarli, scoprirci loro tramite,
vivere l’energia, la natura nell’unico-qui-e-ora
popolato da tutto, lasciarli
fluire nello specchio della coscienza
finché durano, finché vengono
finché vanno
è la cura.
Se sorgono sono semplicemente
ciò che sono,
lampi d’energia, espressioni hic et nunc della vacuità
che costituisce ogni forma, ivi compresi
l’io osservante
il respiro, la cosa osservata, l’azione di osservare
e ogni altro aspetto.
Sono parte integrante della nostra pratica
che è come la vecchia cultura contadina
o quella nuova e verde del riciclo:
si usa tutto, non si butta niente.
“Usare se stessi per sperimentare i dharma1 è delusione.
Usare i dharma per sperimentare se stessi è risveglio”.2
1i dharma: eventi, fatti, fenomeni, cose, la realtà
2Dogen, “Genjokoan” in Shobogenzo