Lasciatemi dire:
la meditazione è una portatrice
di crisi.
All’inizio appare, e lo è, un’oasi antistress
nella baraonda della nostra vita convulsa.
Un’isola felice, una zona di sosta
che rasserena.
Poi, se andiamo nelle profondità
di un ritiro, quindi di una pratica prolungata
in un giorno, per più giorni,
ci accorgiamo che la meditazione comincia
a scuotere quel grumo bloccato di energia,
quella corazza ego-caratteriale che spesso
non siamo nemmeno coscienti di avere
e della quale meno ancora siamo coscienti
d’essere prigionieri, tanto coesi
e identificati con essa siamo.
Non a caso l’io spesso recalcitra davanti
al cuscino della pratica prolungata, come un animale
portato al macello.
Ma se l’animale ha perfettamente ragione
di recalcitrare, l’io no, perché non sa che la sua crisi
apre portoni e pascoli profumati alla persona.
Ogni crisi di attaccamento affrontata, e non evitata,
è già una crisi superata, uno sblocco di energia,
un respiro e una mente aperti, un cuore
disarmato che vince le battaglie
poiché è un cuore equanime
che “rinuncia alla vittoria, rinuncia alla sconfitta
e a quello che sta nel mezzo”.