Perdurando la chiusura del Centro

RINNOVIAMO l’INVITO ALLA PRATICA

Perdurando la chiusura del centro, per l’emergenza virale in corso, rinnoviamo l’invito a praticare a casa e dovunque sia possibile. Esortiamo alla rilettura dei post precedenti e vi abbracciamo idealmente tutti, a partire dai sofferenti e dalle famiglie in lutto.

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Riproponiamo ancora, qui sotto, a ulteriore e rinnovato stimolo, le indicazioni per la meditazione (zazen) del 5 marzo scorso, in piena epidemia, ivi compreso il testo introduttivo sull’amorevole presenza.

L’amorevole presenza

La costrizone della quarantena, la rarefazione dei rapporti sociali, la preoccupazione per la famiglia, il lavoro e l’occupazione; il timore per il virus, la malattia e la morte; la tentazione dello sconforto e del panico oppure, al contrario, la faciloneria cieca che espone al rischio: tutto questo non se ne andrà solo perché non vogliamo vederlo. Non se ne andrà solo perché vogliamo che se ne vada. Tutto questo non è “materia” solo di azione: sanitaria, sociale, politica, ma anche di meditazione. Tutto questo va guardato e respirato in intimità con la nostra mente e il nostro cuore, con noi stessi. Tutto questo va affrontato fuori e dentro di noi. Salvo scoprire poi che il dentro e il fuori sono l’unica Realtà che ci comprende tutti, nella quale tutti viviamo, soffriamo e gioiamo. Lasciamo che si esprima: “Se il vero è lasciato a sé stesso, non vi è nulla di falso”. Rimaniamo nell’amorevole presenza. E quando ci alziamo, dove serve, oltre all’aiuto della pratica, prestiamo il nostro servizio responsabile.

INDICAZIONI BASE PER LO ZAZEN (meditazione)

Luogo:
meglio silenzioso e tranquillo, dove ci si possa sedere in santa pace. Ma nessun posto può essere scartato a priori: dalla corsia di un ospedale a un bar, passando dalla sala d’aspetto di una stazione o da una pensilina della fermata autobus.

Abito:
meglio comodo e sobrio, sia nei colori che nella fattura, e adatto alla temperatura del luogo di pratica. Ma all’occorrenza va bene l’abito che si indossa: dal pigiama di notte, all’abito di lavoro, dalla tenuta da montagna all’unico cencio che si possiede.

Orario:
meglio la pratica mattutina e serale, ma per chi non può o vuole soffrire di più, specie dopo un pranzo abbondante, vanno bene anche le ore pomeridiane.

Durata:
usualmente le sedute sono di 20, 30 o 40 minuti. Tuttavia si può cominciare da 1, 2 minuti, magari seduti in auto davanti al semaforo rosso, oppure da 5 minuti al giorno.

Frequenza:
meglio quotidiana. Tuttavia, sotto la pressione delle incombenze giornaliere, sappiamo quanto questo regalo, che facciamo a noi stessi e all’umanità, sia difficile. Diciamo allora: ogni volta che ci riusciamo, o che ricordiamo l’“inutilità” salvifica di “fermarci”.

POSTURA

Come sedere:
preferibilmente a gambe incrociate nella ben nota posizione del loto, oppure nel mezzo loto. Oppure ancora nella posizione birmana: un piede davanti all’altro sul tatami invece che appoggiato sulla coscia opposta. Il bacino è appoggiato su uno o due cuscini che lo sollevano e rendono più naturale la verticalità della schiena e l’appoggio di sostegno delle ginocchia sul tatami. Da ricordare che il bacino appoggia tra il centro e l’orlo del cuscino (non a caso è meglio un cuscino circolare), ciò impedisce quasi sempre il formarsi del formicolio alle gambe. Se i dolori sono insopportabili o altri problemi fisici impediscono queste posizioni si può sedere in seiza: (in ginocchio con un cuscino fra le gambe o una panchetta apposita sotto il sedere). Se anche tale modalità risultasse impossibile si può ben sedere su di una sedia, sempre con la schiena diritta, ma non tesa, i piedi per terra, le cosce verso il basso (quindi la sedia non deve essere troppo bassa). Il senso di tutto è la stabilità di base del corpo, che prelude al rilascio di ogni tensione, quella della mente compresa. Chi fosse addirittura impossibilitato a sedere, può rimanere nella postura che gli è possibile.

Le braccia: 
sono completamente rilasciate, prive di forza applicata. Durante la seduta sembrano scomparire, o viceversa fare blocco unico con spalle e busto come un tronco inanimato e solido, quindi privo di linee di tensione.
Le mani: una mano è appoggiata sull’altra, le palme in alto, e i due pollici si toccano di punta, naturalmente, senza tensioni. Riposano in grembo.

Le spalle:
cadono naturalmente, rimanendo in asse con la schiena, e raggiungono il punto più basso raggiungibile senza sforzo.

La schiena: 
è diritta, verticale, e tale rimane senza tensioni, per la semplice verticalità di un qualsiasi corpo che sta su se appoggia su di una base sufficiente. In questo caso è il triangolo formato dalle due ginocchia sul tatami e il bacino appoggiato sui cuscini (oppure sulla sedia, più i piedi per terra).

Il respiro:
regolare, naturale, entra ed esce senza forzature dettate dalla volontà o altre forze, quali emozioni, intenzioni, stress…

Gli occhi: 
aperti, immobili, senza tensione. Sono in un campo visivo globale, dalle due estreme aree periferiche, a destra e sinistra, a tutta l’area centrale in un unicuum. La messa a fuoco può esserci, ma non è ricercata. Magari vedono qualcosa, ma non guardano nulla in particolare. Gli occhi aperti e immobili sono decisivi, ma non diciamo oltre, per non creare ulteriori oggetti-ostacolo mentali.

Disposizione d’animo:
aperto, ricettivo, senza aspettative. Si tratta di essere la realtà sonomama: “così com’è”, e come appare nelle forme che sorgono e si dissolvono del presente che avviene.

Disposizione mentale: 
semplice coscienza di pensieri, sensazioni, emozioni. Nessun tentativo di eliminarli. Nessuna entrata nel contenuto del pensiero ad alimentare altri pensieri.

SI COMINCIA (e si finisce)

Nota:
Le modalità iniziali sono numerose e non staremo qui ad elencarle. La più conosciuta e praticata è contare le espirazioni fino a dieci e ricominciare da capo. Se però sorge un pensiero, tornare a uno e riprendere il conteggio. La modalità che descriviamo qui di seguito è frutto fattivo della nostra esperienza.

Ci si accomoda seduti come indicato in precedenza e si pone attenzione alle braccia e alle mani: sono rilasciate? C’è qualche linea di tensione in esse? La precisa sensazione fisica è di abbandono. Se questo abbandono continua, nel corso della seduta le braccia e le mani sembrano scomparire o far parte di un blocco unico e inanimato col corpo. Le spalle cadono naturalmente in basso o c’è qualche linea di tensione che le tiene, sia pur di poco, sollevate?

La schiena è diritta, verticale, senza forza applicata, senza linee di tensione? La sensazione è che sia la verticalità stessa ad autoportarsi senza intervento dei muscoli. Il respiro entra ed esce regolarmente senza sforzo alcuno? Corto o lungo che sia, superficiale o profondo, diaframmatico oppure ombelicale, è condizionato dalla nostra attenzione o si snoda via via libero da ogni tensione, calmo e sereno, com’è nella sua natura di soffio costante interno/esterno, interno/esterno…?

Gli occhi sono aperti e immobili? Il campo visivo è globale dalla vista periferica al centro? Bruciano? Allora c’è qualche linea di tensione: lasciar cadere ogni sforzo. Se la focalizzazione si perde, ritorna e si perde, lasciare che sia. Non intervenire. Se qualche dettaglio del campo visivo viene messo in luce, lasciare che sia: gli occhi vedono, la coscienza ne ha l’evidenza, ma non c’è nessuna volontà o sforzo di guardare.

La coscienza guarda e respira senza intervenire ogni forma si rifletta nello specchio della mente, siano essi rumori, pensieri, immagini, linee di tensione, tentativi di eliminare qualcosa, giudizi, preferenze?

E di nuovo: le braccia sono ancora sciolte? E le spalle? La schiena è diritta e senza tensioni? Il respiro entra calmo e regolare? Gli occhi sono aperti e immobili, privi di tensione? Ogni forma si riflette nello specchio della mente nella semplice coscienza e nel semplice respiro?

Ripetere questa verifica più volte nel corso della seduta.

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