“Se infatti riuscissimo a cogliere che è il nostro stesso corpo a perdersi nel Bello e nel Sublime, secondo la celebre Critica di Kant, non diverremmo finalmente in grado di passare dall’<afferrar-lo> all’<afferrar-ci?>”
(da La Repubblica, Francesco Monticini, “Quant’è sottile la linea rossa che separa corpo e mente”, 27/6/2017, Cultura, pag.45. L’articolista sta commentando il libro di Massimo Cuzzolaro, Il corpo e le sue ombre, Il Mulino, pag.208)
No, non diverremmo in grado di “afferrar-ci”. Se non illusoriamente. E il dualismo che credevamo di aver superato risolvendo la dicotomia corpo-mente si ripresenterebbe in un ente afferrante e in uno afferrato, sia pure tutto interno all’essere umano-universo. Non di afferrarci si tratta, ma di autocoscienza del Vero, del Bello e del Sublime nella forma impermanente autoassegnatasi.
E per quanto riguarda il rapporto impermanenza-eternità, che è implicito nella domanda che l’articolista si pone: “io sono il mio corpo o sono cosa altra rispetto a lui?” sarebbe interessante rispondere che principio di coscienza, mente e corpo, sono distinti ma non separati, e che in nessun caso si possa così parlare di realtà finita separata dalla realtà assoluta, come un’onda, una corrente percepita non scorre in un (inesistente) fuori, dall’oceano che è.
L’ego afferra. Lo Spirito osserva.
Un abbraccio
Eugenio
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